
Uno dei lavori domestici stagionali per i mesi freddi è fare il pane. Faccio parte della categoria di persone che da oltre dieci anni possiede una macchina per il pane e la usa regolarmente, probabilmente perché anche prima preparavo regolarmente l’impasto della pizza e la mia famiglia vanta una tradizione di focacce pasquali che mi hanno permesso di avere le “mani in pasta” sin da bambina.
Durante i mesi estivi la tentazione di accendere il forno è molto più bassa, per cui con l’arrivo del freddo devo rispolverare ricette e tecniche regolarmente dimenticate. Da molti anni ho abbandonato i panetti di lievito di birra fresco, troppo spesso maltrattati dai rivenditori prima dell’acquisto al punto da rivelarsi inservibili e mi sono “adattata” all’uso del lievito di birra liofilizzato, non potendo contare, come faceva mia madre, su uno “spacciatore” di pasta madre da cui rifornirmi al bisogno e non avendo materialmente il tempo per coltivare come si deve la pasta madre io stessa. Il lievito di birra liofilizzato ha il pregio di essere sempre pronto ed abbastanza regolare nella sua lievitazione, anche se le case produttrici non permettono mai di adagiarsi sulle abitudini e cambiano le formulazioni, con buona pace di chi cerca di dare una continuità ai sui impasti.
Mi sono trovata così la vigilia di Natale a leggere delle meravigliose ricette di panettoni da fare in casa, con o senza macchina del pane. Inutile dire che per almeno un’ora ho valutato seriamente la possibilità di avviare una pasta madre per l’anno nuovo, poi mi sono arresa alla dura realtà del mio quotidiano ed ho preferito dedicarmi ad un dettaglio scoperto tra le pieghe della prima ricetta, la biga. Il termine mi era noto ma non ci avevo mai fatto caso, finchè non mi ha colpito un ricordo: la nonna faceva SEMPRE un primo piccolo impasto nel pomeriggio, sciogliendo il lievito (in cubetto) con poco latte e farina e lo lasciava “bollire” prima di iniziare l’impasto vero e proprio. Insomma, un vero e proprio tuffo nel passato. Così, complice il fatto di aver diviso male una bustina di lievito liofilizzato di cui mi era rimasto un solo cucchiaino ho deciso di provare di nuovo. Il concetto della biga è molto simile alla pasta madre, credo, cioè si crea un primo impasto completamente lievitato che diventa esso stesso lievito per il resto.
Dal punto di vista pratico, lavorando con il lievito di birra liofilizzato, la prima fase è l’attivazione, quella che secondo alcuni produttori non serve più. In pratica, sciolgo 1 cucchiaino di lievito ed uno di zucchero in poca acqua tiepida (diciamo due dita, 30 ml, ma veramente le quantità sono optional) lasciando riposare finchè non si forma una densa schiuma (stile birra scura) in superficie (a seconda della temperatura può servire una decina di minuti o anche oltre). Solo a questo punto aggiungo la farina, la dose canonica è il doppio dell’acqua, cioè se l’acqua fa 30, la farina fa 60 al massimo, impastate e mettete a riposare, io uso il fornetto chiuso senza nemmeno scaldarlo, almeno in questa fase, giusto per evitare correnti e sbalzi di temperatura. Non ho ancora provato se funziona il miele anche con il lievito liofilizzato, immagino di si. Può funzionare tranquillamente anche senza attivare il lievito prima, ma in questo caso il tempo per raggiungere la “bollitura” potrebbe essere maggiore, per cui se lo state facendo la sera per la mattina va benissimo, se invece pensate di poter/dover rimetterci le mani un paio di ore dopo, non vi conviene. Quel che intendo dire è che lo scopo, almeno per me, non è di lievitare tutti gli impasti 24/36 ore, ma ottenere impasti ben lievitati con dosi minimali di lievito di partenza, privilegiando la lievitazione della pasta al lavoro del lievito di birra.

La “bollitura” è il momento in cui l’impasto originale è triplicato circa nel volume ed è diventato una specie di blob pieno di bolle. In pratica a questo punto i lieviti avranno iniziato a “digerire” tutta la farina a loro disposizione e vi troverete con una massa di lievito pronto a prendersi cura del vostro impasto. Spero che chi conosce i dettagli chimici ed enzimatici del processo non si offenda per la mia eccessiva semplificazione, per chi vuole approfondire il web è pieno di risorse, io mi limito a raccontarvi come funziona per me.
Tornando alla vostra biga a questo punto inizio a nutrirla ed accrescerla usando più o meno la stessa tecnica dei rinfreschi della pasta madre (senza però scarti), ovvero reimpasto il tutto con nuova farina e acqua tiepida. Nel mio primo caso, pur avendo iniziato la biga con farina di manitoba ho fatto i successivi reimpasti con la semola di grano duro, perchè volevo affrontare la mia bestia nera, il pane di tipo pugliese. Per la pizza, non avendo a portata di mano la farina di tipo 2 (che ho avuto in dono da un amico aretino e mi è rimasta nel cuore) mi accontento di una banale farina 0, lasciando la doppio 0 solo per i dolci con lieviti istantanei. Fino a qui non entra assolutamente il sale nell’impasto e nemmeno i grassi (latte, uova, olio, burro), a differenza di come impastavo prima “i liquidi” con la farina. Questo perchè mi pare di aver capito che è meglio, per la levitazione, che l’impasto sia “incordato“, ovvero che si sia formato già il legame glutinico fra farina ed acqua prima di aggiungere i grassi. Non sono certa di aver capito tutto bene, ma funziona meglio che cercare di impastare tutto insieme per cui mi adeguo. Per i reimpasti, a seconda della quantità di massa e tempo, passo dall’impasto a mano all’infilare tutto nel cestello della macchina del pane e fare partire il programma di impasto e lievitazione. La mia ciotola ideale è, al momento, la mia vecchia ciotola per impastare Tupperware, dato che è dotata di un coperchio bombato con finestrella trasparente ermetico ma non troppo e la infilo nel forno con la luce accesa (e la solita ciotolina di acqua sul fondo, anche se prima della cottura non è indispensabile con questa ciotola). Fare lievitare direttamente nella macchina del pane va bene quando sono all’impasto finale e ho meno tempo, oppure quando si fa la pagnotta in macchina a partire dalla biga, magari ricordandosi di togliere la spatola dopo l’ultima fase di impasto e prima della lievitazione finale (ci riesco una volta su cento :().
In genere cerco di impastare circa 500/650 gr di farina, che è la dose per la pagnotta da kg, per cui dopo un paio di reimpasti nell’arco di 4-16 ore (non ridete, capita di tutto ma in genere si sopravvive, basta non scaldare troppo il forno perchè in questo caso uccidete tutto) preparo finalmente il mio impasto vero con tutti gli ingredienti. Solo a questo punto infatti aggiungo il sale e se previsto, l’olio (per esempio il mio pane di grano duro aveva l’olio) e procedo per la lievitazione finale prima della cottura in macchina o in forno di pagnotte o pizze.
Sarà una pura impressione, ma un impasto nato con poco lievito e molto tempo è molto più digeribile di quello ottenuto in un’ora e mezza con gli stessi ingredienti e la dose ufficiale di lievito, senza retrogusti sgradevoli e gonfiori molesti. E prendere un po’ di tempo per cucinare con amore dà una grande soddisfazione. Mi rendo conto di non aver dato nessuna ricetta pratica, ma spero di avervi dato lo spunto per fare qualche ricerca nei bellissimi gruppi e blog dedicati alla panificazione ed alla pasta madre, di cui ho segnalato giusto quelli in cui mi sono imbattuta senza alcuna pretesa di essere esaustiva o di aver selezionato i migliori. Anzi, se i vostri preferiti sono altri, non esitate a segnalarli nei commenti (intendo solo blog, gruppi e siti dedicati alla panificazione ed affini, non pensate di iniziare a spammare i commenti con siti per incontri galanti o simili!)
PS: il pane di semola di grano duro, nella versione normale e con olive, sono venuti molto bene!
questo me lo devo studiare con calma….